Recensioni / Non dimenticate il gusto antico del "favoloso"

Annie Hall (Diane Keaton) si sta separando da Alvy Singer (Woody Allen) e recrimina: «Mi hai regalato solo libri con la parola morte nel titolo!». Che questo non sia proprio il genere di titoli più seducente da regalare è abbastanza scontato, specie se il destinatario è un partner che senza parere sogna di stabilirsi in California. Mettersi a spiegare gli addentellati romantici della parola morte ad Annie Hall sarebbe certo fiato sprecato. Non parliamo poi degli addentellati divertenti. Meglio dunque tenere per sé un titolo come Morti favolose degli antichi, che non corrisponde a una bizzarra collezione di fine Ottocento ma a un libro uscito da poco (autore, Dino Baldi; editore Quodlibet). Il titolo spiega abbastanza bene il contenuto: storie di gente – spesso famosa – che ha avuto per esempio il cranio sfondato da una tartaruga lasciata cadere da un’aquila. Gente antica, certo; gente morta, certo (e conseguente), ma soprattutto gente favolosa, perché è proprio «favolose» la parola cardine del bel libro di Baldi. La parola favoloso sta morendo a sua volta, dopo una senilità passata a fare da sinonimo, enfatico e banale, di «eccezionale». Ma in passato la si sentiva, la «favola» dentro il «favoloso»: il «favoloso» era qualcosa che meritava di essere raccontato, un po’ come il «New York Times» che promette «All the news that’s fit to print» («Tutte le notizie che meritano di essere stampate»). Queste morti antiche meritano di essere conosciute.