Recensioni / Nella raccolta di scritti autobiografici Sogno 101 le nevrosi, l'aristocraticità, l'eccentricità di uno dei più segreti compositori del Novecento

Da quando Giacinto Scelsi è scomparso nel 1988, la sua figura ha avuto uno strano destino: da una parte la sua musica, per lo più ignorata quando lui era in vita, ha cominciato a ricevere una crescente attenzione; dall'altra dubbi e perplessità sul suo metodo compositivo hanno trovato molte conferme. Nella sostanza Scelsi non scriveva la sua musica, ma affidava registrazioni suonate da lui alle tastiere a collaboratori cui era delegata la messa in partitura: un lavoro che poteva comprendere cose rilevanti come l'orchestrazione e che era controllato da Scelsi, ma è poco chiaro in cosa consistesse il suo controllo. Immergersi nelle sue pagine, Sogno 101 - l'autobiografia di Scelsi a cura di Luciano Martinis e Alessandra Carlotta Pellegrini (edito da Quodlibet) - offre notevoli spunti per comprendere questo personaggio non poco bizzarro, anche poeta con all'attivo un paio di raccolte di liriche in francese, che non amava farsi fotografare, affascinato dall'esoterismo, la magia, le filosofie orientali. Nato nel 1905, rampollo della nobile famiglia Ayala Valva, Scelsi descrive la sua giovinezza in una aristocrazia che dal "crepuscolo degli dei" passa al tramonto dei gagà, di un'infanzia dorata al princisbecco, del ripiegamento tra feste e nevrosi, della spola tra medici e Costa Azzurra. Ma lo racconta con un candore da farti passare indenne, o quasi, le 92 pagine di traversie cliniche, di andirivieni tra dottori, santoni, psicoanalisti, stregoni, luminari, guaritori. Tutti consultati per il suo personale "mal du siècle", mai diagnosticato. E allora via tra la Roma fascista, dove aristocrazia e alta borghesia sono descritte come grette e ignorantissime -caratteristiche che hanno voluto comunque conservare-, l'élite di Antibes, i cenacoli di Parigi, e giù, a sud, verso il Cairo, le piramidi, il Libano. Decine sono le pagine su feste e ritrovi mondani dove, asserisce Scelsi, s'annoiava. Così dopo la Seconda Guerra Mondiale, vissuta al riparo in Svizzera, quando la nobiltà declina a cibo per rotocalchi, Scelsi s'infervora per il misticismo, con un cocktail, che lui stesso definisce bizzarro, di dottrine orientali, magia e cristianesimo. Ma è dalla musica che arrivano le maggiori sorprese: se infatti il suo apprendistato più che d'un compositore appare quello di un dandy e a pagina 19 non si risparmia di intimare: «NON STUDIATE!» - il maiuscolo è suo - resta da chiedersi perché volesse essere un musicista a tutti i costi: come i notevoli esborsi per i collaboratori che gli scrivevano le partiture - pagati non poco - i sospetti di molti che non fosse l'autore dei brani da lui firmati, le mortificazioni nel vedersi, come dice lui stesso, vittima di una massoneria della musica (tra i "gran maestri" spuntano le figure di Pierre Boulez e Luciano Berio) che lo disprezza e lo esclude. E qui finalmente appare il sogno, che non sarà quello del titolo di quest'autobiografia, ma è quello di Scelsi bambino che non sa suonare ma, in una specie di trance, improvvisa per ore al pianoforte, di fronte agli esterrefatti e dolci occhi della madre. E in questa esperienza infantile, onirica e forse un po' edipica, sembra trovare radice la concezione scelsiana della musica: dalla prassi compositiva, che lo vede appunto alla tastiera a suonare e soprattutto improvvisare delegando ad altri la scrittura, alla musica e al suono come ricerca all'interno di sé stesso, su cui si depositeranno discipline orientali, misticismo, e così via. Ma Scelsi è veramente divertente quando, sempre tra le righe, scrive dei suoi collaboratori: per Vien Tosatti, il compagno di tante avventure che gli ha orchestrato le grandi partiture sinfoniche, ci sono parole adeguate a un mezzadro che gli consegna il raccolto dei campi. Eccolo l'aristocratico Ayala Valva, non buono e illuminato da luci interiori, ma altezzoso, carogna e finalmente simpatico. Così nelle non sempre brillanti 481 pagine di Sogno 101 il colpo di coda di Giacinto è averci lasciato materiale sia per chi considera Scelsi un musicista un po' impostore, sia per chi lo considera un grande del Novecento.