Recensioni / Guerra al pirata che c'è in noi

Nel Il Nemico di tutti. Il pirata contro le nazioni, Daniel Heller-Roazen, docente di Letteratura comparata all’Università di Princeton, ricostruisce una sorta di «genealogia» della pirateria. Una genealogia che si pone l’obiettivo di portare alla luce le peculiarità della figura giuridica del "pirata", ossia di quel particolare tipo di criminale che già Cicerone, nel De officiis, definiva come «il nemico comune di tutti». In sostanza, per quanto il fenomeno attraversi nella sua storia trasformazioni radicali, la figura del pirata pare sempre contrassegnata da alcuni elementi di fondo, riconducibili a un vero e proprio "paradigma".
Innanzitutto, la pirateria opera in una regione in cui vengono applicate norme giuridiche straordinarie. In secondo luogo, il pirata si rivolge indiscriminatamente contro individui e associazioni politiche, e per questo può essere definito come «nemico di tutti». Inoltre, il pirata non è né un criminale né un nemico politico, ma qualcosa di diverso: è un nemico per l’intera comunità internazionale, la quale può perciò adottare strumenti di difesa eccezionali, polizieschi e politici. Gli elementi di questo paradigma possono essere ritrovati nel mondo grecoromano, nel Medioevo e soprattutto nella lunga stagione dello jus publicum europaeum.
Ma, anche dopo la scomparsa dei vecchi filibustieri, il paradigma non cessa di funzionare. Come, per esempio nello spazio sottomarino (con l’affondamento del Lusitania, nel 1915), nello spazio aereo (con la nascita dei «pirati dell’aria») o nello spazio virtuale di Internet.
Secondo Heller-Roazen, la rinascita contemporanea del pirata è in sostanza un effetto dell’estensione dell’ordine statuale a tutto il globo. In questo quadro, quando una regione fuoriesce dall’ordine, configura uno spazio di disordine in cui è possibile riconoscere la pirateria.
E, così, «non è più il pirata a essere definito dalla regione in cui si muove», ma «è la regione della pirateria a essere desunta dalla presenza del pirata».
Per questo, si tratta di una trasformazione radicale, che non può che alimentare rischi notevoli. Uno dei quali è ovviamente la tentazione di intendere la guerra contro un nemico eccezionale come una guerra eccezionale. Una guerra senza limiti e senza alcun vincolo morale.