Recensioni / Singapore: l'Occidente d'Europa

Singapore Songlines è solo in apparenza un "caso-studio": lo stesso Rem Koolhaas lo presenta come il suo "ultimo ritratto di una città reale esistente" –ma Singapore sembrerebbe appartenere più al novero delle "città invisibili" di Calvino che alla topologia urbana. Se non fosse reale ed esistente e si chiamasse Singapore, chissà quale nome Calvino avrebbe inventato per la città senza luogo, la cui forma è oggetto costante di trasformazione e, pertanto, è questa stessa forma a diventare "regolatrice" del luogo e dell'identità collettiva.
Eppure, dopo Singapore, concepire la città contemporanea significa pensarla proprio senza nome e senza storia: Città Generica. Singapore rappresenta, infatti, il prototipo della Città Generica teorizzata da Koolhaas, la città che sorge da una tabula rasa e porta in sé tale gesto originario come suo destino, quello appunto di non "fondarsi" su un'origine e di essere, quindi, condannata a una infinita e indefinita trasformazione: una lavagna liscia e piatta su cui si sommano indiscriminatamente le più diverse semantiche architettoniche. La città di Potemkin: pura "facciata di cartapesta" squadernata davanti allo sguardo senza profondità dello spettatore globale –anch'egli generico.
Quando ne scriveva nel 1995, Koolhaas pensava che Singapore avrebbe rappresentato il modello dello sviluppo urbano della Cina –profezia in sostanza avveratasi– e oggi, nel Prologo all'edizione italiana, rilancia ulteriormente: Singapore sarà, anzi è già adesso il prototipo di ogni nuova città, ovunque. È pertanto anche il futuro della città occidentale –ed europea, quella che più strenuamente sembra resistere allo stile generico: lo stile senza uno stile definito di un'urbanizzazione ormai autonoma rispetto a ogni architettura.
L'ultima differenza che, per Koolhaas, ancora sussiste tra queste due vie all'occidentalizzazione, l'asiatica e l'europea, è di natura politica. L'urbanizzazione di Singapore, infatti, ha una genesi non democratica, autoritaria. Perché, tuttavia, non essere radicali fino in fondo, decostruendo anche le ultime resistenze ideologiche: se è vero che la Città Generica si sta diffondendo anche in Europa, il carattere non-democratico della sua genesi orientale non trova un corrispettivo nei nostri regimi "compiutamente" democratici, pienamente "formalizzati" e "omogenei", dominati dalla dittatura della maggioranza e dei sondaggi? L'"autoritarismo senza autore" o il "fascismo senza dittatore", di cui scrive Koolhaas in Junkspace, non sono forse formule che, da Singapore all'Europa, per vie diverse, rappresentano il medesimo esito dell'"occidentalizzazione"?