Recensioni / Sono il bozzolo, non ho ego

La storia di Louise Bourgeois è insieme un pezzo di storia dell’arte e una storia d’arte. Da qualsiasi parte lo si prenda, il suo lavoro altro non sembra che un modo per tessere la sua storia, montarla e rimontarla fino a trasformarla in figura, esporla, appenderla a una parete. Capita quando, come in questo caso, leggiamo i suoi scritti o guardiamo le sue opere.
Va detto subito, però, che tutto questo l’artista lo fa scartando le lusinghe dell’autobiografia per concentrarsi invece sulla costruzione di un autoritratto che si definisce e ridefinisce nel presente, come una sorta di unico, grande work in progress.
Louise Bourgeois non illustra la sua storia, la mette in scena. Come se tutto quanto le è successo, la sua esperienza, le sue riflessioni, i suoi incontri, altro non fossero che un magazzino di materiali, strumenti di lavoro da riporre sugli scaffali del proprio atelier, al pari di colori, tele e scalpelli.
Bourgeois ha vissuto novantanove anni: è nata nel 1911 ed è morta nel 2010. Il suo secolo l’ha vissuto davvero tutto, pensando lavorando e esponendo fino all'ultimo. L’ha vissuto e respirato e infine ingoiato. E ha avuto la ventura di essere conosciuta, e riconosciuta, a livello internazionale, quando aveva più o meno settant’anni. Riconoscimento tardivo, su cui magari pesa il suo essere donna?
Forse, ma non solo. Sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo, la stagione più ricca è quella che inizia verso la fine degli anni settanta.
Quasi abbia avuto la necessità di far provvista di vita per dar consistenza alla sua opera. È la storia che genera storia, il passato serve per essere smontato e rimontato ne1 presente. Con energia e senza nostalgia (tra parentesi, appunto: 1914: «Sulla Diciannovesima strada mio padre ha detto: “Ricordi come era bello ai nostri tempi?”. E io “Non so cosa intendi dire”»).
Questi due elementi, il fatto di essere nata al mondo come icona senile, e quello di aver maneggiato il suo passato come fosse un kit per costruire le sue opere, ci portano immancabilmente a non prescindere da un a ritroso ogni volta che ci troviamo a considerare il suo lavoro.
Tanto più che a quello straordinario corpus/autoritratto che è rappresentato dal suo catalogo si aggiunge una quantità enorme di scritti, interviste, fotografie.
Di oggetti e strumenti di autorappresentazione che tutto suggeriscono salvo la casualità. Quasi la costruzione dell’immagine di sé da consegnare al mondo fosse essa stessa un’opera, e pertanto bisognosa di una regia sorvegliata e una costruzione organizzata. A calcare la scena è l’artista, non la persona, ammesso che nel suo caso la distinzione abbia un senso. «Il bruco trae la seta di bocca, si costruisce il bozzolo e, appena finito, muore. Il bozzolo ha stremato l’animale. Io sono il bozzolo. Non ho ego, sono il mio lavoro».
Parole e opere sono come trama e ordito di un unico lavoro. E la metafora non è casuale. Da giovane, sulle tracce dei suoi genitori, l’artista aveva lavorato per le manifatture di arazzi di Aubusson. Poi aveva cominciato a fare lavori propri, si era sposata con uno storico dell’arte, aveva lasciato la Francia per gli Stati Uniti, messo al mondo dei figli, frequentato il surrealismo, scritto e realizzato mostre. Aveva, in altre parole, lavorato a disegnare la sua vita, o se vogliamo, a scriverne la sceneggiatura.
E in tutto questo lavorio, mai si era troppo allontanata dai fili che, non solo in senso metaforico, la legavano al suo passato. Tessere significa creare. come per i ragni che sono stari spesso oggetti delle sue rappresentazioni, fino ai bellissimi e commoventi Fabric Works realizzati negli anni duemila che danno il titolo alla mostra e al catalogo che l’accompagna (Venezia, Fondazione Vedova, giugno-settembre 2010). E se questa è la trama, l’ordito è fatto delle parole che accompagnano il suo percorso.
Parole sempre precise, anche quando non destinate a essere lette da altri, sgombre da pregiudizi, pulite anche quando seguono rivoli di pensiero eccentrici. Parole che ancora una volta non possiamo che leggere e riorganizzare a ritroso.
Aveva cominciato a scrivere a dodici anni, e non ha mai smesso: ancora oggi, consegnandoci delle opere che sono testi che generano altri testi. Forse il suo autoritratto non è ancora finito, certo sappiamo che è scritto in terza persona.