Recensioni / La prima introduzione al laboratorio marxiano

Nell’ultima settimana dell’agosto 1857, in concomitanza con lo scoppio della prima crisi finanziaria mondiale nella storia del capitalismo, Marx scrisse un testo che intitolò Introduzione e che avrebbe dovuto precedere un lavoro che apparve nel 1859 con il titolo di Per la critica dell’economia politica.  Successivamente Marx decise di sopprimere tale introduzione perché, secondo le sue parole, “dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati ancora da dimostrare disturbi”. L’Introduzione venne quindi pubblicata per la prima volta nel 1903 da Karl Kautsky e apparve in traduzione italiana, a cura di Giorgio Backhaus, nel volume Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica. Grundrisse (Einaudi 1976). Oggi essa viene riproposta dall’editore Quodlibet con un ricco commento storico critico di Marcello Musto, giovane studioso di Marx e docente presso la York University di Toronto in Canada.
L’Introduzione alla critica dell’economia politica riveste un interesse rilevante perché in essa Marx: 1) ribadisce la storicità del capitalismo;  2) connette produzione, distribuzione, scambio e consumo sottolineando la preminenza del fattore produttivo sugli altri tre; 3) assegna un valore importante al processo di astrazione nella comprensione del reale;  4) mette in luce il rapporto ineguale tra forme della coscienza e strutture economiche.
Sul primo punto, la storicità del capitalismo, Marx non risparmia il sarcasmo contro l’individuo naturale e le “robinsonate del XVIII secolo” di tanti economisti e filosofi del passato e del presente i quali, dimenticando la diversità tra produzione in generale e differenti determinazioni storiche, sostengono di fatto l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti negando, di conseguenza, la possibilità di un superamento di tali rapporti. Si tratta per essi, attraverso l’idealizzazione di Robinson Crusoe quale rappresentante del solitario uomo borghese, di generalizzare tale condizione per ogni epoca storica, anche quelle precedenti la nascita della società borghese, concependo di conseguenza il capitale come cosa e non come rapporto. Da qui egli passa, nel secondo paragrafo, a prendere in esame il rapporto tra quattro dimensioni fondamentali dell’economia politica: produzione, distribuzione, scambio e consumo. Affermando, ad esempio, che esiste una identità tra produzione e consumo: “la produzione non produce… soltanto un oggetto per il soggetto, ma anche un soggetto per  l’oggetto”, ossia il consumatore. Per Marx, quindi, la produzione va considerata come una totalità all’interno della quale la produzione stessa rappresenta l’elemento prioritario. Anche se, precisa l’autore, gli altri tre fattori – la dimensione del consumo, le trasformazioni della distribuzione e la grandezza della dimensione dello scambio, cioè del mercato - concorrono a definire la produzione e ad influire su di essa. Le acquisizioni teoriche di Marx avevano anche implicazioni politiche. In polemica con i socialisti che proponevano modifiche nella circolazione del denaro creando un razionale sistema monetario o auspicavano di trasformare gli operai in capitalisti, Marx, sostiene Musto, ricorda che “la questione centrale rimaneva il superamento del lavoro salariato ed essa riguardava innanzitutto la produzione”.
Ma il tema forse più stimolante è presente nel terzo paragrafo dell’Introduzione in cui Marx affronta una fondamentale questione metodologica, forse mai in seguito tematizzata così chiaramente come in questa sede: il rapporto, cioè, tra pensiero e realtà, tra astratto e concreto. In un serrato confronto con Smith, Ricardo ed Hegel, il filosofo di Treviri arriva alla conclusione che “il metodo scientificamente corretto” per comprendere il reale è quello secondo il quale “le determinazioni astratte conducono alla riproduzione del concreto nel cammino del pensiero”. Non è possibile dar conto in questa sede di tutti i passaggi logici presenti nel testo. Possiamo affermare, in estrema sintesi, che Marx sostiene la necessità di salire dall’astratto al concreto per appropriarsi del concreto ma senza concepire il reale come risultato del pensiero. Le categorie economiche, infatti, sono “relazioni astratte di una totalità vivente e concreta già data”. Come efficacemente commenta Marcello Musto a proposito del rapporto tra concreto e pensiero, “respinta la simmetria tra ordine logico e ordine storico-reale, il momento storico si presentava come tornante decisivo per comprendere la realtà, mentre quello logico consentiva di concepire la storia non come piatta cronologia di diversi accadimenti”.  
A questo punto Marx si chiede in che modo ricostruire lo sviluppo storico delle diverse forme societarie, in che maniera ricostruire il passato. E’ a quest’altezza che egli formula la famosa frase secondo la quale: “L’anatomia dell’uomo è una chiave per l’anatomia della scimmia. Ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta. L’economia borghese fornisce quindi la chiave di quella antica ecc. In nessun caso però procedendo al modo degli economisti, che cancellano tutte le differenze storiche e in tutte le forme della società vedono la società borghese”. Musto rileva qui che tale nota non va però letta “in termini evoluzionistici” e richiama le riflessioni di Stuart Hall secondo il quale la teoria elaborata da Marx rappresenta una rottura con lo storicismo, pur non essendo una rottura con lo storico.    
Nell’ultimo e frammentario paragrafo dell’introduzione merita di essere ricordata la parte relativa al “rapporto ineguale dello sviluppo della produzione materiale con … quella artistica”.  Qui Marx sostiene, anche sulla scorta degli studi di Sismondi il quale aveva messo in rilievo la correlazione tra i momenti alti delle letterature europee e i periodi di decadenza sociale dei paesi che quei momenti avevano espresso, che le condizioni materiali degli uomini determinano sì le loro attività simboliche e cognitive, ma che tra i due momenti, produzione intellettuale e produzione economica, non vi è alcuna corrispondenza meccanica. Si tratta di un’acquisizione di grande importanza che sgombra il campo da tante interpretazioni riduttive del pensiero di Marx sul tema del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Rapporto che è stato di recente ripreso e acutamente indagato da Nicolao Merker in un saggio complessivo sul filosofo di Treviri (Karl Marx. Vita e opere, Laterza 2010). In esso Merker ricorda che nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859) Marx usa le metafore architettoniche di “struttura” e “sovrastruttura” senza tuttavia attribuire un significato secondario a quel che sta “sopra” (la costruzione) rispetto a ciò che sta “sotto” (le fondamenta). Inoltre per Marx la parola struttura comprende forze produttive, modi di produzione e rapporti sociali corrispondenti. Quindi produrre non è un’attività meccanica e inerte. Essa è un’attività ricca di conoscenze, competenze e abilità. Un fare accompagnato da un saper fare. Per questo, conclude Merker, “già nella produzione, essendo essa umana, sono simultaneamente presenti la ‘struttura’ e la ‘sovrastruttura’, complementari e non contrapposte”.