Recensioni / Le inquietudini di Giacinto

L’autobiografia del compositore Ligure scomparso nel 1988. Dall’infanzia e adolescenza nel castello di Valva, nel salernitano, al lungo soggiorno in Svizzera dove elaborò concetti fondamentali per la sua musica

Per la colonna sonora del suo inquietante Shutter Island, Martin Scorsese ha scelto delle composizioni personalissime di Giacinto Scelsi: Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su una nota sola) del 1959 e Uaxuctum del 1966. E’ la prima volta che le opere del compositore ligure sono state usate in un film. E chissà perché, leggendo la corposa autobiografia di questo eccentrico e geniale musicista (Il sogno 101, edizioni Quodlihet, euro 38) è proprio quel film che viene in mente, non solo per la devastazione intima del protagonista ma per le inquietudini della mente che quell’opera porta con sé. Inquietudini di cui lo stesso Scelsi ebbe a sperimentare la deflagrazione in un periodo in cui fu costretto a curarsi da un forte esaurimento causato dall’abbandono della moglie durante la seconda guerra mondiale. E in effetti la nota sola della composizione si riferisce a una forma di terapia per la guarigione.
Dunque, grazie alla casa editrice di Macerata Quodlibet e alla Fondazione Isabella Scelsi, si dà vita alla pubblicazione di questa autobiografia divisa in due parti (autobiografia vera e propria e poema fantastico) come inizio di una pubblicazione completa degli scritti di questo musicista fuori dai canoni. Giacinto Scelsi è morto l’8 agosto del 1988 (era nato nel 1905) e già da tempo ormai è iniziata una corsa alla riscoperta di un autore enigmatico e imprevedibile. Nella sua vita, del tutto cosmopolita, pezzo importante fu la sua formazione dell’infanzia e della prima adolescenza nel castello di Valva nel salernitano che manterrà per lui il carattere del mito ma anche dell’eccentricità. Scrive infatti Scelsi: «Il castello di Valva risaliva sì al Mille ma di quel secolo non sussistevano che le fondamenta e alcune mura, che quando erano state rifatte erano larghe tre metri. Ma vi erano ancora stanzoni enormi, tanto che in uno di essi io andavo in giro con una piccola bicicletta; si chiamava ll ‘salone di giustizia’, perché vi era ancora il trono dal quale il castellano impartiva in altri tempi le sue sentenze, e sembra che vi fosse ancora una botola, la botola delle cosiddette «oubliettes» (segrete, ndr), nella quale si lasciavano cadere le persone sgradite!». Altro pezzo importante della sua vita fu ll suo soggiorno in Svizzera dove elaborò concetti fondamentali per la sua musica. Un contributo grande in questo senso è stato dato dal convegno del novembre scorso a Roma (dove si è parlato anche di importanti ritrovamenti di suoi scritti e composizioni inedite) e dalla pubblicazione dei dischi della Scelsi Collection che raccolgono gran parte delle sue musiche. Non va dimenticato il film Via di San Teodoro 8 che David Ryan gli ha dedicato e che è stato presentato in anteprima al convegno romano. Il film è un’esplorazione della casa romana di Scelsi dove le immagini dei Fori antichi e il suono dell’ondiola elettronica, lo strumento con cui Scelsi elaborò parte della sua musica e che oggi è conservato nella casa museo del musicista, danno all’opera un’atmosfera suggestiva come è del resto nella cifra di un visual artist come Ryan.
Giacinto Scelsi, dunque, ha avuto una vita del tutto movimentata frequentando, fin dagli Anni Venti del secolo scorso, il vasto mondo artistico della musica, delle lettere, delle arti internazionali (Jean Cocteau e Virginia Woolf furono tra le sue frequentazioni). Passò dalla dodecafonia alle teorie di Skrjabin fino a farsi penetrare in modo inconsueto dalle filosofie orientali, tutte influenze che si avvertiranno nelle sue composizioni musicali, già a partire dagli anni Cinquanta. Ed è stato un autore che ha intrecciato, quasi a filosofia di vita artistica, tecniche tradizionali con quelle meno convenzionali. Producendo così opere come Rotativa, Quattro pezzi per orchestra n.1. La nascita del Verbo, Elegia per Ty, Trilogia per violoncello solo, YggurTre canti sacri, i già citati Quattro pezzi su una nota sola e Uaxuctum, e tanti altri. Ora questa autobiografia, tra divagazioni teoriche uniche, ironia innanzitutto verso se stesso –, stupore verso il mondo, gli uomini e le straordinarie possibilità della musica, contribuisce ad aprire curiosità infinite su questo autore. Con intuizioni geniali, come questa: «Bisogna entrare nel suono, penetrarlo, possederlo nella sua triplice essenza: fisica, psichica e creatrice. Egualmente per i colori: il rosso il blu, il giallo… bisogna entrarvi dentro, non guardarli restando fuori. È così per ogni cosa, per ogni immagine. Beninteso, bisogna saper guardare, e allora il guardare diventa un’altra cosa. Egualmente per i suoni. I suoni musicali e gli altri: quelli interiori. Al limite vi sono i cinque suoni non udibili, e finché noi non entriamo nei suoni udibili non sentiremo i suoni interiori. In realtà i suoni esistono affinché non si diventi suoni. Lo siamo già, ma non abbastanza. Ma allora perché bisogna diventare suoni? Per diventare luce». Per continuare con gli amabili sfottò verso se stesso e racconti del tutto stravaganti. Narra infatti Scelsi, a proposito della sua opera per coro misto e orchestra La nascita del Verbo (una sorta di «cantata» in onore della grande violinista francese Ginette Neveu), opera che il direttore d’orchestra francese Roger Désormière decise di dirigere al Théatre des Champs-Elisées, di come – dopo una mattinata di duro lavoro – la sera della prima fosse talmente stanco da non riuscire a reggersi in pidei: «La sera ero distrutto, tanto che durante l’esecuzione mi rifugiai nella… toilette! Era l’unico posto dove non arrivavano i suoni. E in questa stanza mi stesi per terra; avevo però dimenticato di chiudere la porta. A un certo momento qualcuno entrò e gridò: ‘Mon Dieu! Il y a un mort!’. Al che io risposi: ‘No, no, non sono affatto morto; mi sono sdraiato un momentino per riposarmi’. La persona aveva acceso la luce e vedendomi disteso aveva proprio creduto che fossi morto. Poi, quando sentii che il pezzo stava per finire, dovetti alzarmi e andare dietro al podio a stringere la mano a Désortnière e a ringraziare il pubblico plaudente».
Ma non si pensi che Scelsi non sia consapevole del suo talento artistico, che invece rivendica in più occasioni, come alla prima parigina, voluta fortemente da Henri Michaux, dell’esecuzione di Quattro pezzi su una nota sola. Alle critiche (però con grandissimo successo in teatro) su una composizione musicale giocata su di una nota sola («ma insomma che musica è questa? Melodia non ce n’è; ritmo non ce n’è; che cosa resta?»), novità assoluta per quei tempi, così rispondeva Scelsi: «Restava qualcosa di diverso: restava la sintesi dell’elemento statico e dinamico. Sintesi che non era mai stata fatta prima. Oltre a ciò, esisteva la vibrazione di un solo suono costante». Cosa poi copiata e imitata oltremisura. Ma i ricordi sono tanti in questa autobiografia, bastino per tutti le pagine sulla partecipazione nel 1958 a «Lascia o raddoppia?» – il mitico quiz di Mike Bongiorno – di John Cage, amico di Scelsi ed esperto di funghi, che riuscì a vincere per sei edizioni consecutive la bella cifra record di cinque milioni di lire; con represso nervosismo di Mike a cui evidentemente non era simpatico Cage, probabilmente per le sue composizioni musicali fatte ascoltare durante le serate del quiz.
La seconda parte del libro è interamente dedicata al poema visionario Il ritorno, suggestivo viaggio poetico tra esoterismo, culture orientali, yoga, religiosità e, ovviamente, musica e suoni, in un vortice di abbandono che intreccia ricerca personale di riscatto e perdono con tentativo di liquidazione del tempo storico («come posso dire ogni tanto / non c’è il tempo / non esiste il tempo / forse sono tutti insieme i suoni / eppure mi sembrano separati») per un’eternità che oscilla dall’insegnamento evangelico a quello buddista. Davvero un poema che trascina, testimonianza struggente di un’arte che forse Giacinto Scelsi avrebbe voluto ancora più ricca, ma che per noi è comunque piena di composizioni geniali e indimenticabili. Quelle di un autore «venuto dal futuro» che Sylvano Bussotti, in una breve introduzione a forma di sonetto nel libro (si chiama Sonetto Scelsi), definisce in questo modo: «Dirlo originale è nulla se in arte ogni rarità resta indicibile».