Recensioni / Sogni

"Interpretare un sogno è già un sogno" osservava lo psicoanalista Salomon Resnik. Allora trascriverlo diventa forse un doppio sogno, un ricordo dell'esperienza onirica risognato nella scrittura. E' l'opera compiuta con paziente tenacia da Dolores Prato tra il 1928 e il 1982, un anno prima di morire a 91 anni. Questo zibaldone della scrittura marchigiana si dipana nel tempo come un'autobiografia onirica, un'immensa messe di materiali potenzialmente narrativi, dove Mike Bongiorno si mescola alla zia Paolina e Giuseppe Saragat a una monaca assassina. Ha ragione Gabriele Pedullà, nella prefazione: Sogni viene a comporre un dittico ideale con Giù la piazza non c'è nessuno, il capolavoro tribolato e a lungo misconosciuto dell'autrice, riemerso solo nel 1997 nella sua integralità sotto l'egida di un critico autorevole come Giorgio Zampa: "Sempre di redenzione della memoria e dell'esperienza si tratta".