Recensioni / Le favolose e memorabili morti degli antichi

Omero, si racconta, morì di disperazione intellettuale: afflitto per non aver saputo interpretare l’indovinello che gli avevano rivolto certi giovani pescatori di Ios. Terenzio che, nato a Cartagine, fu il primo scrittore africano di lingua latina, morì secondo alcuni per consunzione: per aver smarrito nel corso di un naufragio le commedie di Menandro che avrebbe voluto far rappresentare a Roma a proprio nome. Lucrezio impazzì per aver bevuto il filtro d’amore procuratogli da una donna malvagia, scrisse il “De rerum natura” e all’età di quarantaquattro anni si suicidò senza neanche aver dato l’ultima limatura al poema. Il dolcissimo Virgilio, tanto brutto e rozzo nell’aspetto quanto amabile e soave nell’indole, morì in seguito all’insolazione che lo colpì mentre, viaggiando in nave, tornava a Roma dall’oriente con Augusto. Fu dopo la sua sepoltura però, avvenuta vicino a Napoli, in una grotta sulla via per Pozzuoli, che attinse la sua sorte favolosa: di mago, negromante, stregone, astrologo, taumaturgo, santo, “lampadoforo”, profeta e precursore delle verità cristiane. Ebbe post mortem così la fama che gli valse un ruolo da protagonista nella Commedia dantesca e un posto d’onore nelle devozioni superstiziose partenopee.

Gli esempi menzionati riguardano tutti morti di poeti che, si direbbe, per vocazione artistica fossero tutti tenuti a compiere il cerchio della propria vita con una morte memorabile. Corroborano l’ipotesi i casi della lesbica Saffo, che per un amore non ricambiato si lanciò in mare dalla rupe dell’isola di Leucade. Del vecchissimo Anacreonte, soffocato da un chicco d’uva passa. Di Eschilo, caduto in Sicilia per il colpo in testa assestato da una tartaruga che un’aquila in volo lasciò precipitare dal cielo. O di Sofocle, cui si schiantò il cuore per la felicità di aver vinto una gara poetica. Cinicamente Diogene, morso a un tendine da un cane rabbioso. Ardentemente Empedocle, che si abbandonò alla furia degli elementi gettandosi tra i vapori del vulcano. Perfettamente si chiuse il ciclo esistenziale di Platone, che compì con l’età il numero perfetto di nove moltiplicato per nove. “L’antichità offre a chi la abita qualche margine di manovra in più rispetto ai contemporanei”, scrive Dino Baldi nell’introduzione a questa sorprendente sfilata di fantasmi. Il tempo intercorso lascia uno spazio in cui muoversi più liberamente tra documento, racconto e invenzione. Forse non c’era bisogno di immaginare finali di storie fantastiche. Perché comunque, premette Baldi in esergo al suo libretto citando le parole di Paolo Maccari: “La cosa buffa è che morire ti sorprenderà”.