Recensioni / Come morire in modo appropriato

Vi siete mai chiesti come si muore in modo appropriato? Esemplare? Ambizioso? Le morti dell'Antichità parrebbero essere, in modo prevalente, un'occasione finale, un estremo lascito che, innanzitutto e per lo più, riguarda se stessi in rapporto alla propria gens, nel novero tutto umano del buon esempio, del modello, della testimonianza come insegnamento.
Buona parte di queste domande costituiscono l'ambito di ricerca dell'insolito, ottimo libro di cui vi parlo questa settimana: si tratta di "Morti favolose degli antichi", di Dino Baldi. L'autore si sforza di porre in chiaro in che senso vi sia un morire nell'Antichità che, in certo modo, volentieri si slancia nel divenire esempio, originalità, "soggetti¬tà". Probabilmente, è tutto vero. Eppure, a questo "esserci per la morte" esemplare, noialtri moderni e contemporanei rispondiamo (qualunque cosa ne pensino gli storici degli Annales, Aries, e in generale tutti i nostalgici dell'antiquitas), rispondiamo, dicevo, che da tempo, per morire degnamente, non abbiamo più bisogno di esempi, né eroismi, né specificità: noi oggi moriamo innanzitutto co¬me genere, ciascuno tenuto nel palmo della famiglia umana che, custodendoci, ci fa essere.
Pure, la positività essenziale del libro di Baldi risiede nella testimonianza "narrativa", delle morti cioè raccontate nel loro aspetto più leggendario, "favoloso", ovvero romanzesco che, almeno tradotto secondo la sensibilità di noi lettori dell'oggi, con tenacità tutta "culturale", continuano a interrogarci.
Scriveva Montaigne: "Non c'è niente di cui m'informi così volentieri come della morte degli uomini: le ultime parole, l'aspetto, il contegno tenuto in quel momento. Se fossi un editore, farei un repertorio ragionato delle varie morti".
Quodlibet, che pubblica il volume, alquanto opportuna¬mente risponde daccapo, ades¬so, a questo stesso appello.