Recensioni / Recensione da Aisthesisonline

Il denso studio di Erwin Straus sui fondamenti della psichiatria, a cura e con una notevole introduzione di A. Gualandi, fornisce la chiave d’accesso a una riflessione filosofico-antropologica della quale il lettore, familiarizzandosi progressivamente con un’originale impostazione del problema dell’uomo e del suo esperire il mondo, non mancherà di constatare l’immeritatissimo oblio. La costruzione del testo presenta alcuni scompensi di proporzione, talora una certa prolissità e qualche ripetizione un po’ fastidiosa. La parte dedicata a quegli “esperimenti di natura” che sono le psicosi è davvero troppo esigua per poterne mettere a frutto le suggestioni. Questi difetti sono però ampiamente compensati dalla trasparenza della scrittura, e soprattutto dall’acutezza e persuasività della proposta teorica. Nelle forme di uno studio antropologico e psichiatrico, Straus si sforza di costruire un percorso filosofico che, in particolare, può e deve interessare lo studioso di estetica. Evitando, con un forte senso di “inizialità”, gli opposti modelli rappresentati in forma tipica dalle posizioni di Heidegger e di Berkeley, egli infatti circoscrive con esattezza il perimetro proprio dell’estesiologia.

Il confronto con l’analitica esistenziale di Heidegger, serrato e appassionante, ruota intorno all’assunto secondo cui «[l]’analitica dell’Esserci rappresenta […] un’imponente opera incompiuta; manca il riferimento alla vita, alla natura e al corpo vissuto, in breve agli “esistenziali dell’animalità” (p. 8). Si tratta, in verità, di un dialogo non privo di equivoci. Il principale sta nella lettura della «gettatezza» heideggeriana come “caduta” in un corpo, che sarebbe pertanto limite e coartazione dell’Esserci, piuttosto che sua positiva condizione di possibilità. Questo modello “teologico” è tuttavia estraneo alle intenzioni di Heidegger, e non trova riscontri in Essere e tempo. Ciò detto, grande parte della critica di Straus coglie comunque nel segno. Persino nei Seminari di Zollikon Heidegger, pur diffondendosi sulla fenomenologia del corpo vivente più che in qualunque altro suo scritto, non riserva a quest’ultimo alcun ruolo in ordine all’«apertura all’essere», cosicché l’analisi esistenziale «trova il suo fondamento nell’assolutizzazione dell’esistenza in opposizione alla vita, una separazione cui la psichiatria non può rassegnarsi» (p. 12). L’operazione di Straus è una complessa reinscrizione degli apriori esistenziali nell’animalità del corpo umano, che diviene a pieno titolo un trascendentale di trascendentale.

Riguadagnare la vita nella sua immediatezza non significa però sposare l’astrazione fisiologica della nuda stimolazione sensibile. Si tratta ora del “versante Berkeley” della critica, e sotto il suo nome vorremmo riassumere quel modello di percezione atomistica che disarticola la continuità del reale in impressioni, ingloba il mondo nel soggetto e prepara la strada per la traduzione fisiologica dell’esperienza in quanta di stimolazioni discrete. Straus non si stanca di colpire criticamente il riduzionismo positivistico-empiristico della modernità filosofica e scientifica, di ricordare che «[i]l visibile non è un oggetto intenzionale della mia coscienza, ma è certamente un oggetto intenzionale per me, in quanto essere vedente corporale», e che «[i]l mio incontro egocentrico con l’altro avviene nel mondo a noi comune. Noi ci incontriamo nel mondo, non nel mio mondo» (p. 37).

Il mondo, infatti, non è cartesianamente nel soggetto, ma l’uomo è nel mondo, in una totalità avvolgente, sfumata, mutevole eppure stabile nelle sue strutture, chiamata da Straus Allon. «È tuttavia chiaro che una mera immagine percettiva non può che mancare ogni relazione con l’Allon. Come lo stimolo è ricevuto nel recettore, la percezione sarebbe accolta nella coscienza. Da questo isolamento solitario, non vi è via d’uscita. Nelle cosiddette immagini percettive il visibile è diventato invisibile, perlomeno per ogni altro» (p. 42). Se è su questa base comune che i nostri sensi possono operare e può instaurarsi un commercio con l’altro uomo, le pagine più affascinanti del libro sono dedicate al processo che, come «situazione animale originaria», fornisce appunto questa possibilità: l’acquisizione della stazione eretta. «[L]a capacità di sollevarsi dal suolo e contro il suolo è la condizione imprescindibile dell’esperienza sensoriale» (p. 50), perché solo «col sollevarsi dal suolo giunge a compimento quella contrapposizione col mondo che domina la struttura d’insieme di tutta l’esperienza» (p. 51). L’ambizione “inaugurale” del discorso di Straus sta in questo capovolgimento dell’ordine classico tra sensorio e motorio: non è l’oggetto dei sensi che mette in moto il nostro apparato corporeo e la “macchina desiderante”, ma il movimento che ci permette di avere esperienze sensibili e anche desideri. E il movimento inaugurale di ogni esperienza “estetica” – nel senso più lato – è proprio il sollevarsi dal suolo nello stato di veglia, che fornisce la situazione originaria del “qui”: «“L’essere opposto nell’essere insieme” giunge a compimento solo con il sollevarsi. Noi possiamo agire in rapporto a qualcosa solo nella misura in cui siamo in grado di agire in opposizione a questo qualcosa» (p. 46). Sembra di leggere, ancora una volta, il trapianto della dialettica heideggeriana tra «mondo» e «terra» nella situazione vitale dell’uomo e dell’animale. Solo sollevandoci dal suolo pur restandovi radicati, solo nella coappartenenza a un mondo, e contemporaneamente nella nostra distinzione e opposizione ad esso, i nostri sensi trovano la possibilità di mediare un’esperienza organizzata in forme coerenti: «La nostra analisi dell’esperienza sensibile, così come prende forma nella situazione originaria e a partire da essa, si mantiene nei limiti del mondo della vita, il quale rappresenta anche la condizione obliata, taciuta, spesso contestata dello scienziato naturale che avanza pretese sull’ogget­tività» (p. 65).

Si tratta, ovviamente, di uno strato di esperienza originario e difficile da trattenere nelle forme già costituite del linguaggio, problema del quale Straus mostra piena consapevolezza: «La relazione con l’Allon è difficile da comprendere. Infatti essa non è né una relazione tra due corpi, né tra due anime; le categorie familiari di causa ed effetto non sono applicabili. La relazione con l’Allon non è calcolabile ed esprimibile in equazioni. Essa non è caratterizzata dall’eguaglianza, bensì dall’ineguaglianza» (p. 42). Forse potremmo dire, sviluppando il discorso di Straus anche oltre la lettera del suo testo, che la relazione con l’Allon si colloca, tra l’ottundimento della sensazione e l’oggetto della scienza positiva, nello stesso rapporto per cui la metafora si colloca a metà strada tra il nome proprio e il concetto. Questo strato intermedio, relazionale-metaforico, vorrebbe innanzitutto mostrare il processo della categorizzazione nel suo stadio vivo, fluente, operativo, prima della sedimentazione nel categorizzato: «L’Allon concorda oppure contraddice le nostre intenzioni, risponde oppure tace. Colori, suoni e odori, e in generale tutte le qualità sensibili, hanno dunque sempre un carattere emotivo, fisiognomico. Le metafore dei colori gioiosi, dell’allegro ruscello, dell’oscuro silenzio, devono essere comprese letteralmente. In ogni modalità sensoriale varia il nostro rapporto con l’Allon» (p. 67). In questo modo, mentre l’estesiologia configura lo sfondo sensibile della metafora, sottraendola alla retorica, la metafora offre all’estesio­logia la sua dicibilità, salvandola dall’ineffabile. In quest’operazione complessa e speculare domina, direi, una metafora decisiva: quella del “gioco” con il mondo, che interagisce e risponde in forma «sincinetica», oppure si sottrae e si nega alle nostre mosse e ai nostri appelli. Se lo stimolo luminoso o acustico costruito in laboratorio dalla scienza positiva è realmente ineffabile, perché privo di coinvolgimento nel mondo, la vita dei sensi rientra in qualcosa che supera la «coscienza trascendentale». Non esiterei a chiamare questo qualcosa «gioco linguistico», assumendo la nozione di linguaggio nel senso più ampio e prendendo come campo di gioco l’intera relazione che distingue e unisce il vivente all’Allon. E se solo in questo gioco l’aisthesis ha il suo significato, la riflessione di Straus sembra rientrare con alte credenziali in quella concezione dell’esperienza estetica che ambisce a immergere il suo oggetto nella situazione vitale dell’uomo e a riscontrarvi una delle forme esemplari del rapporto adattativo e interattivo con il suo ambiente.