Recensioni / Wittgenstein. Sensibilità e confini linguistici

Massimo De Carolis – Arturo Martone (a cura di) Sensibilità e linguaggio, Discipline Filosofiche | Quodlibet 2002


Sensibilità e linguaggio è il titolo di un seminario su Wittgenstein tenutosi nel 2001 a Raito (Vietri sul Mare) per iniziativa dell'Università di Salerno e dell'Istituto Orientale di Napoli, e di cui ora vengono pubblicati i contributi (a cura di Massimo De Carolis e Arturo Martone, ed. Quodlibet, pp. 180, euro 16). A differenza di quanto avviene di solito con le raccolte di saggi nate da un convegno, e a testimonianza di come l'attenzione sul pensiero di Wittgenstein sia tenuta viva più dalla persistente problematicità dei nodi da lui affrontata che non dalla periodica pubblicazione di nuovi inediti, l'impianto del volume è unitario e ruota intorno a una domanda cruciale: esiste una teoria della sensibilità in Wittgenstein, e in quali termini può essere collegata alle sue analisi del linguaggio? In che misura, in altre parole, la celebre affermazione del Tractatus logico-philosophicus secondo cui «i limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo» può essere riletta a partire dall'insistenza, tipica dell'ultima fase della sua riflessione, sulla radice «prelinguistica» del senso? Wittgenstein stesso riconosceva che la determinazione del rapporto fra questi due aspetti costituisse «una grossa lacuna» nel suo pensiero, anche se numerose sono le sue indicazioni a riguardo e molteplici le interpretazioni possibili. Gli interventi riuniti in Sensibilità e linguaggio cercano di percorrerne alcune, ma soprattutto tentano di coniugarle al presente, incrociandole sia con una riflessione di tipo prettamente filosofico, sia con le prospettive più recenti di ambiti di ricerca come quelli della biologia e delle neuroscienze. La premessa all'intero volume si può riassumere, perciò, in poche parole che Wittgenstein scrisse pochi mesi prima della morte e che i curatori riportano nella Premessa: «considerare l'uomo come un animale», e ancora «come un essere primitivo cui si fa credito bensì dell'istinto, ma non della facoltà di ragionamento», dunque come un essere la cui appartenenza alla vita è al tempo stesso il fondamento e la posta in gioco della sua facoltà di produrre linguaggio.

Su questa linea si collocano i saggi di Marco Mazzeo e Paolo Virno (Il fisiologico come simbolo del logico. Wittgenstein fisionomo), di Luigi Perissinotto (Wittgenstein e il primitivo in noi) e di Massimo De Carolis (Filosofia come modificazione della sensibilità), mentre su una più stretta connessione fra teoria della sensibilità e analisi logica del linguaggio si dirigono gli studi di Felice Cimatti (Logica ed empiria nell'ultimo Wittgenstein), Paolo Leonardi (Denotazione e uso), Franco Lo Piparo (I nomi, le rappresentazioni, le equazioni) e Arturo Marrone (Riannotazioni su Senso e Significato). L'enigmatica presenza di un problema etico-metafisico nella teoria wittgensteiniana del significato è il tema del saggio di Daniele Gambarara (Reticenza complice e silenzio ostile), mentre Marilena Andronico indaga la radice estetica alla quale risale la dibattutissima questione del «comprendere» (Estetica e sensibilità), spostando così la domanda sui rapporti fra sensibilità e linguaggio su una linea interpretativa che ha già una storia in Italia (si pensi a Dalla logica all'estetica, di Giuseppe Di Giacomo, del 1989), e che ora viene arricchita dalla puntuale ricostruzione di una serie di fonti filosofiche il cui baricentro, da Goethe a Spengler, ruota intorno alla determinazione «naturale» dell'animale umano.

Un quadro coerente, sebbene non schiacciato su un'unica prospettiva di lettura, che mostra quanto la riflessione di Wittgenstein sia ricca di stimoli tuttora da indagare e quanto prezioso possa essere il suo esempio, anche per superare molte delle barriere disciplinari che ancora impediscono un dialogo fecondo tra le ricerche filosofiche e scientifiche intorno alle forme di produzione del senso.