Recensioni / Gilles Clément giardiniere libertario

Non elimina gli arbusti, non combatte le talpe, reclama per sé un minor potere. In un libro la sua rivoluzione

Tutto iniziò in modo sperimentale nel suo giardino nella Creuse La Vallée, nel lontano 1977, dove, come tutti i giardinieri, Gilles Clément introduce nuove piante, taglia alberi e arbusti (o piuttosto decide di non tagliare alberi e arbusti), rimuove (o sceglie di non rimuovere) e soprattutto collabora con il potere d'invenzione della natura stessa. Nasce in quegli anni l'innovativo e provocatorio saggio Eloge de la friche: l'elogio dell'incolto, dell'area dismessa, del terreno che è stato abbandonato dopo essere stato lavorato.
Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano, si possono scoprire una quantità di spazi indecisi, privi di funzione, ai quali è addirittura difficile dare un nome: quest'insieme non appartiene né al territorio dell'ombra, né a quello della luce, si situa ai margini. Copre superfici di dimensioni modeste, disperse, come gli angoli perduti di un campo. Tra questi frammenti di paesaggio non si forma nessuna somiglianza. Si evidenzia un solo punto comune: tutti, grandi e piccoi, spaziosi o esigui, costituiscono un territorio di rifugio per la diversità.
Raccogliendoli sotto un unico ternine che per Gilles Clément sarà il «Terzo paesaggio», rappresentano il terzo termine di un'analisi che ha ragruppato i principali dati osservabili sotto l'ombra da un lato e la luce dal'altro. Un «Terzo paesaggio» che in ambito urbano corrisponde a terreni in attesa di una destinazione o che stanno aspettando l'esecuzione di progetti sospesi per ragioni finanziarie o per indecisione politica. Questi sfasamenti temporali, spesso lunghi, permettono alle aree urbane abbandonate di coprirsi di un manto forestale (foreste dei residui) che dopo uno studio e un processo di identificazione porta a verificarne i rapporti (sempre sotto la intensa vivacità conferitagli dal movimento), tra società, cultura, tempo, evoluzioni, caratteri ed estensioni. Del giardiniere e filosofo, la casa editrice Quodlibet ha pubblicato e tradotto II giardino in movimento. I presupposti sono semplici e categorici: il ruolo del giardiniere, pur rimanendo fondamentale e indispensabile, deve diventare sempre più debole e tenue. Un giardino dove il giardiniere abbia un ruolo di minor potere del passato. Sono giardini che (giustamente) partono con quello che c'è e si espandono naturalmente.
La conoscenza del territorio per Gilles Clément va analiticamente approfondita iniziando dalle piante preesistenti e dagli animali esistenti (compresi gli insetti), per creare un giardino «con» e soprattutto non «contro», forte di una sua reale, viva e robusta indipendenza, quasi fosse il risultato di una rivoluzione continua nel terreno e sul territorio stesso. Il «giardino in movimento» ha pure i suoi eroi, a cominciare provocatoriamente dalle odiatissime talpe che possono procurare in un giardino preziose forme di land art. Oppure le piante pioniere, capaci di vivere nei più ingrati territori, ma che al di fuori del loro territorio diventano fragili e deboli. Del resto quale eroe è più vicino e vivace delle stesse piante «vagabonde»? Nascono e muoiono a poca distanza le une dalle altre e «sono sempre là dove le si aspetta»: è il caso, per esempio, dell'invasivo Heracleum mantegazzianum, bellissima, robustissima, pianta ombrellifera originaria del Caucaso (anche piuttosto tossica e pericolosa).
Nel 1993 l'immediato e vivace successo del grande Parc André Citroén a Parigi portò le teorie sul giardino in movimento a conoscenza del pubblico. Le jardin en mouvement diventa da quei giorni un testo canonico e la base di una teoria molto vicina all'arte e all'architettura contemporanea, dove espressioni come informalità, processualità, nomadismo e spaesamento prendono forma in senso profondo. Gilles Clément non si ferma a rincorrere i suoi giardini «che si muovono», anzi, il suo percorso si sposta verso altre direzioni e soprattutto verso altri panorami, appropriandosi (o meglio riappropriandosi) di alcuni grandi temi del pensiero ecologico. Il giardiniere-filosofo si prefigge il risultato felice di una combinazione imprevista di situazioni e di oggetti organizzati tra loro secondo regole d'armonia dettate dal caso: inizia un percorso dedicato all'« arte involontaria», simile a quella che Bernard Rudofsky chiama «architettura... senza architetti».
Gilles Clément è il vero padre di una rivoluzione giardiniera, e attraverso processi complessi, ma soprattutto liberatori, ci conduce a riflessioni planetarie. All'inizio erano le piante, l'ambiente, i giardini nella loro essenza tradizionale (pur nella più scevra semplicità), giardini che diventarono in seguito un tragitto di correlazioni e complicità, un pensiero e una filosofia. Ora siamo i contemporanei testimoni di un vero manifesto, il risultato di un processo maturato in una vita, quasi fosse una conscia e lenta dematerializzazione di una passione, di un lavoro, di una proposta.
Avvenimento senza precedenti e dettato dai tempi è l'apparizione dell'ecologia nel rapporto (storico) tra l'uomo e la natura. Un rapporto che porta alla globalizzazione dello spazio vivente e nello stesso tempo alla percezione di un limite: questo grande, grandissimo spazio, chiuso all'interno della biosfera, che racchiude un grandissimo Giardino Planetario (sempre in movimento).
Il compito svolto dal giardiniere del giardino in movimento può essere riproposto come un modello per ciò che l'uomo giardiniere potrebbe fare sul pianeta: il giardino planetario chiama in causa l'umanità intera, la sua stessa responsabilità, tanto individuale quanto collettiva. Il giardiniere si trasforma in filosofo, quasi maturando una fusione spirituale e materica, sia con il mondo coltivato sia con quello naturale.

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