Sempre più di frequente, negli ultimi mesi, mi capita di citare – nel
corso di riflessioni sia scritte che verbali – un testo che ha
accompagnato in maniera significativa la mia formazione di studente e i
primi anni di architetto: La crisi della modernità, opera di David
Harvey del 1989.
Ciò accade naturalmente per l’attualità del pensiero del famoso
geografo
britannico a oltre venti anni di distanza dalla sua
pubblicazione.
All’interno di questa condizione post-moderna, a mia
avviso non ancora
esaurita, che lo stesso Harvey definisce come una
miniera di nozioni tra
loro in conflitto, si inserisce la raccolta di
scritti di Michele
Costanzo.
Si tratta di una serie di testi elaborati in origine come editoriali della rivista (h)ortus,
della quale Costanzo è stato direttore, prima di lasciare il timone al
sottoscritto e a Federico De Matteis, co-fondatori della rivista
stessa.
Testi che, dopo un periodo di “decantazione”, come lo definisce
l’autore stesso, sono stati «raccolti e ricomposti in un diverso ordine
[…] e poi corretti, ampliati, tagliati e anche precisati rispetto ad
alcune osservazioni critiche; e questo, attraverso una delicata e
meditata operazione di trasferimento dei diversi contributi concepiti
per il mezzo mediatico, da uno strumento immateriale, in cui vige una
lettura veloce sostenuta da un corredo d’immagini, ad un oggetto
cartaceo che ha, diversamente, consistenza materia e, dunque […] invita
il lettore ad un rapporto più esigente e riflessivo con il testo».
In
questo esercizio descritto dall’autore risiede il primo dei pregi di
questo volume e, conseguentemente, la singolarità con cui questa
raccolta si inserisce nel filone delle raccolte di testi elaborati per
quotidiani, periodici e riviste da molti dei teorici del secolo scorso.
Una
raccolta di riflessioni che si segnala, inoltre, per la natura della
coscienza critica con la quale l’autore, in maniera assolutamente
scientifica, e quindi scevra da pregiudizi, legge e analizza
l’architettura del tempo presente, selezionandone ambiti, temi e idee
predominanti.
E il titolo del volume – Il tempo del disimpegno –
fornisce un primo significativo indizio per comprendere il carattere
del ragionamento complessivo che emerge dalla messa a sistema dei
diversi ambiti di riflessione.
Nello svolgimento di questo libero
pensiero l’analisi percorre un doppio binario. Da un lato conduce alla
definizione di alcuni temi della contemporaneità quali il camouflage, il packaging, il fuori luogo,
solo per citarne alcuni. Dall’altro la ricerca muove i suoi passi
attraverso lo studio del tema del doppio: pesantezza/leggerezza,
concreto/astratto, familiarità/estraneità, uguale/diverso; sono alcuni
dei rapporti la cui declinazione trova un punto di contatto all’interno
della figura dell’ossimoro in architettura. Figura retorica – ma non
solo – attraverso la quale Costanzo trova uno dei frequenti punti di
confluenza delle contraddizioni della stagione contemporanea.
Un
viaggio teorico all’interno della contemporaneità del progetto di
architettura nel quale l’autore verifica l’opportunità di restituire
all’architettura quel ruolo, ormai perduto nell’immaginario collettivo,
di sintesi tra le diverse forme d’arte. Le nuove forme del linguaggio
artistico, tanto quelle figurative quanto quelle astratte e multimediali
o, ancora, le forme della poesia e della letteratura, costituiscono
punti di partenza di continue riflessioni ovvero chiavi di lettura
privilegiate per comprendere le ragioni che accompagnano il processo del
pensiero che si trasforma in materia.
Un processo all’interno del
quale, con l’affascinante artifizio letterario dell’ampia citazione del
pensiero dei protagonisti della contemporaneità, Michele Costanzo
trasforma alcuni tratti dei saggi in una sorta di dialogo, di scambio di
opinioni attraverso le quali la riflessione sulla contemporaneità si
arricchisce del pensiero di coloro i quali con la loro opera o le loro
idee ne hanno tracciato e continuano a tracciarne le linee.