Recensioni / I paradossi della fede

Qualche tempo fa, in un confronto con il teologo John Milbank (poi edito nel libro La mostruosità di Cristo, ed. Transeuropa), Slavoj Zizek si interrogava sul senso della frase che Cristo pronuncia sulla Croce: «Padre, perché mi hai abbandonato». Non è un paradosso che la fede del figlio di Dio vacilli? Altrettanto assurdo può apparirci che il sacrificio sulla Croce salvi il mondo. «Credo perché è assurdo» afferma Tertulliano, sulla scorta di San Paolo. Assurdo è quanto di più distante ci sia dalla logica rassicurante della ragione. Ma è su questo abisso che si fonda la fede. Wittgenstein affrontò il significato del credere, precisando che la religione nulla aggiungeva alle nostre conoscenze, ma scopriva aspetti dell' umano cui la scienza non dava risposta. Anche John Wisdom - che gli successe alla cattedra di Cambridge - si interroga ne La logica di Dio (Quodlibet) sul paradosso della fede. Accoglierla o rifiutarla cade nel dominio dell' inesprimibile. Essa può divenire dogma o sofferenza. E la Chiesa percorse entrambe le strade. Ha praticato la fine del dubbio e al tempo stesso ha colto la grandezza salvifica del dolore. Gran parte dell' iconografia della Croce - da Holbain a Grünewald, da Bruegel a Juan de la Cruz - ha ritratto i volti della sofferenza del Cristo e di quell' abbandono gridato. Alla vigilia di Pasqua è giusto ricordarlo.